domenica 6 aprile 2008

10 punti per una società capace di includere i più deboli



Riporto di seguito una proposta in 10 punti elaborata dal Jesuit Social Network per le prossime elezioni.

Da: http://www.jsn.it

In: http://www.andreavolpe.net/Varia/Jesuit/Jesuit.htm

ELEZIONI 2008: COSA CHIEDIAMO, COME VALUTEREMO

10 punti per una società capace di includere i più deboli

Chi siamo. Siamo gesuiti e laici che, in Italia, da decenni lavoriamo, ispirandoci alla pedagogia ignaziana, nell’ambito del sociale, al servizio di fasce di popolazione che, nel nostro Paese, vivono il disagio e l’esclusione. Insieme, dal 2004 abbiamo dato vita al Jesuit Social Network - JSN, non solo per coordinare i nostri servizi a livello nazionale, ma anche per dare maggior peso all’impegno di far ascoltare la voce di coloro con cui camminiamo con le nostre associazioni, i nostri centri di formazione e di ascolto, i nostri gruppi, le nostre cooperative.
Perché sentiamo la necessità di esprimerci pubblicamente in occasione di queste elezioni. È sotto gli occhi di tutti che l’attuale sistema elettorale ha prodotto
una diminuzione del potere di voto dei cittadini, che da sempre era considerato
il diritto minimo irrinunciabile per la partecipazione degli stessi all’orientamento democratico della vita pubblica del Paese.
Secondo noi, però, questa situazione non è ascrivibile solo dall’attuale legge elettorale, bensì ad una grave crisi di democrazia sostanziale, dovuta al prevalere di logiche legate a interessi privati o di parte, rispetto al bene comune e ai principi e ai valori sanciti dalla nostra Carta Costituzionale. Manca, in altre parole, una visione etica della politica.
In questo contesto, il nostro intervento intende aprire il varco per uno spazio di democrazia dal basso, mirando a dare voce alle esigenze di convivenza civile e di giustizia sociale che individuiamo come prioritarie, dal punto di vista delle persone
che incontriamo e delle situazioni di disagio e di esclusione che ne segnano
l’esistenza e la dignità, personale e sociale.
Queste esigenze – nell’orizzonte di un nuovo welfare centrato sulla persona debole
e sulla comunità civile inclusiva - non ci accontenteremo di enunciarle, ma le
consideriamo gli strumenti con cui valuteremo i programmi che i vari schieramenti presenterannon in campagna elettorale, le persone che li attueranno o rifiuteranno
d’attuarle nel corso della legislatura e i modi con cui opereranno. Valutazione che non ci limiteremo a fare teoricamente, ma che tradurremo in azioni e denunce concrete e circostanziate, utilizzando tutti i canali di cui disponiamo.

Le questioni di fondo prioritarie

1. La questione morale. Condizione indispensabile per ogni agire politico tendente al
bene comune è la correttezza morale delle persone e dell’agire dei partiti politici. Ma crediamo che la moralità non si riduca all’esibizione di una fedina penale pulita sul piano personale (che pure riteniamo irrinunciabile); essa implica una visione della politica come servizio e la scelta di non utilizzarla per interessi personali, di parte o di partito.
La scelta dei candidati, perciò, non deve riguardare solo l’individuazione di persone che non hanno carichi pendenti, ma di cittadini che, al di fuori del carrierismo politico, possano chiaramente rispondere agli elettori e esser pronti a dimettersi quando si sentono chiamati a scelte immorali, o contrarie ai diritti dei più deboli.

2. Presenza mafiosa pervasiva. Questione meridionale, e non solo. Il Mezzogiorno,
in particolare, è nella morsa delle organizzazioni criminali organizzate che condizionano, con la loro presenza pervasiva, istituzioni, comunità civile, nonché
l’economia, nelle sue realtà nazionali e locali (pizzo, usura, monopolio di alcuni mercati).
Le fasce più fragili e deboli della società sono l’area in cui le mafie reclutano e rendono capillare la loro presenza sul territorio (per es. tossicodipendenza, contrabbando, prostituzione, sfruttamento del lavoro minorile, ecc.), in particolare nelle “periferie” delle nostre città più complesse e disagiate, che richiedono la ricostruzione di un tessuto morale, relazionale, civile, urbanistico.
L’intreccio tra criminalità organizzata, politica, affari/imprese è problema nazionale, che va oltre il Mezzogiorno e il Paese, come più volte evidenziato dalle indagini della Magistratura, della Commissione Parlamentare Antimafia, da inchieste giornalistiche e saggi.
Ma preoccupanti sono i livelli internazionali dei grandi business a cui mira, con arricchimenti enormi e, quindi, con consolidamenti e condizionamenti di poteri.
D’altra parte, si constatano ogni giorno le devastanti conseguenze di questo stato di
fatto: i cittadini più deboli sono vessati, troppo spesso, da una doppia pesante esclusione: quella delle Istituzioni e quella del contro-Stato malavitoso e organizzato.

3. La politica finanziaria e difesa dei beni comuni. Priorità assoluta, dal nostro
punto di vista, è il modo con cui vengono determinate le scelte della politica finanziaria.
Non possiamo assistere in silenzio al martellante affermarsi d’una cultura individualistica, anche in campo economico (cfr l’insistenza sulla riduzione della pressione fiscale), che descrive la libertà economica in termini di libertà dagli altri. Vera libertà, anche in campo economico, è non quella che esclude: è una libertà che è per la Vita di tutti.
In secondo luogo, le priorità di spesa devono essere orientate agli ambiti che favoriscano la dignità della vita di tutti: è inammissibile, per es., privilegiare e incentivare le spese militari della Difesa a scapito della spesa per settori, quali l’istruzione, le politiche sociali, il lavoro, la sanità, per i quali si compiono persino tagli.
Infine, insieme alla lotta all’evasione fiscale, riteniamo che sia doveroso lottare contro le forme di spreco che derivano dall’assenteismo, particolarmente gravoso, nella pubblica amministrazione.
Salvaguardia dei beni comuni (per es. l’acqua).
Valuteremo le scelte normative e le azioni chiare e concrete per la loro difesa dall'attacco di chi li tratta come merce e settore di speculazioni finanziarie, rendendoli non accessibili alle fasce sociali più deboli.

4. Il lavoro. La crescita degli impieghi temporanei e del business degli intermediari ha modificato la cultura del lavoro; è stato scelto un approccio che schiaccia la persona a funzione dell’economia. L’esito di questo orientamento, però, non riguarda solo la dimensione economica di chi lavora, contribuisce inoltre a generare sfiducia soprattutto in coloro che, affacciandosi al mondo del lavoro, sperimentano prima la frustrazione di tempi lunghi di disoccupazione e quindi la precarietà; in particolare nelle aree più deprivate economicamente del Paese. Le nuove generazioni, non potendo guardare al futuro in prospettiva, finiscono per vivere la precarietà come dimensione esistenziale complessiva.
Ma la precarietà ormai sta toccando anche coloro che sono già inseriti nel mondo del
lavoro. Non solo a causa della mobilità e della flessibilità – che paiono leggi ineluttabili dell’economia e che il più delle volte sono solo funzionali al profitto. La precarietà, anche per loro, sta diventando conseguenza di una condizione salariale sempre meno capace di sostenere il minimo vitale delle famiglie. E diventa sempre più precaria la stessa vita di chi lavora, col moltiplicarsi delle morti bianche e del numero enorme di invalidi per incidenti sul lavoro, nel contesto di un mercato che, in nome della competitività,
rende la sicurezza una specie di peso mal sopportabile, per una concorrenza che chiede ritmi frenetici e condizioni disumane.
Riteniamo, allora, che la persona del lavoratore debba riassumere centralità, nelle scelte di politica economica: combattendo seriamente la disoccupazione e il lavoro nero; ponendo limiti chiari al lavoro precario, alla flessibilità e alla mobilità; svolgendo una seria attività di prevenzione e di controllo nell’ambito della sicurezza; e garantendo un’incisiva politica mirante alla crescita del potere d’acquisto degli stipendi, dei salari e delle pensioni.

5. I giovani e l’istruzione. Disorientamento, mancanza di senso e sfiducia nel futuro
caratterizzano sempre più gli adolescenti e i giovani. La Scuola e l’Università, rispetto all’urgenza e alla portata dei problemi, appaiono poco capaci di dare risposte adeguate.
Di fronte a tale situazione, riteniamo punti irrinunciabili: una seria e obbligatoria formazione permanente dei dirigenti, degli insegnanti e del collaboratori; l’eliminazione degli sprechi legati ad aleatori corsi di aggiornamento e a progetti e iniziative varie, che spesso servono solo a favorire chi dovrebbe proporli.
Diciamo, inoltre, un no radicale alla logica della competitività, che trasforma le scuole – il cui fine dovrebbe essere il servizio culturale e formativo dei giovani - in aziende concorrenti tra loro e soggette a logiche di mercato, mentre si assiste al venir meno di un serio ed effettivo impegno formativo.
Prendiamo atto che recenti riforme hanno condotto ad un abbassamento della qualità
degli studi e al rafforzamento di una falsa idea della meritocrazia, che premia ingiustamente chi parte già in vantaggio e non aiuta gli ultimi e svantaggiati. Chiediamo un impegno supplementare a favore di questi ultimi, in particolare nei casi di estrema povertà culturale del contesto sociale in cui la scuola opera.
Rifiutando qualsiasi approccio “ideologico”, constatiamo gli effetti di politiche che hanno favorito in modo indiscriminato le scuole private (fatte salve significative singole realtà di qualità), che squalificano il processo formativo, avvantaggiando chi ha fatto dell’area scolastica spazio di affari. Chiediamo pertanto una chiara e non equivoca ridefinizione del ruolo della scuola pubblica in rapporto a quella privata, che rispetti in pieno il dettato costituzionale.
Per i giovani diplomati, laureati, specializzati e in cerca di lavoro, riteniamo fondamentale che sia ridotto il più possibile, con opportune iniziative di tirocinio retribuito, il sentimento di frustrazione dovuto alla lunga attesa per l’ingresso nel mondo del lavoro.

6. L’immigrazione. La questione degli immigrati non può continuare a essere affrontata solo a partire dalla loro incidenza nella vita economica del Paese (né tanto meno come un tema inerente alla sicurezza). Percepiamo sempre più chiaramente che così si favorisce – direttamente o meno – un montante razzismo, ipocritamente velato da paure e da una presunta concorrenza in campo lavorativo.
Riteniamo che legiferare in questa materia deve mostrare chiaramente che l’arrivo degli immigrati – oltre che una ineluttabile realtà storica – è anche un forte richiamo, per tutti, alla comune responsabilità per il diritto a una vita dignitosa per tutti gli abitanti del nostro mondo. Ed è anche un’occasione per un’intelligente politica di dialogo interculturale e interetnico, che favorisca la costruzione di ponti tra i popoli, nel rispetto dei diritti/doveri di cittadinanza garantiti dalla nostra Costituzione, dai Trattati europei e dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Inoltre, poiché ormai l’Italia è diventato a pieno titolo un Paese d’immigrazione, è necessario andar oltre alle legislazioni d’emergenza e di contrasto (verso cui si rivolge lamaggior parte degli investimenti), per individuare percorsi miranti all’ integrazione e alla convivenza tra stranieri e con gli italiani.
In questo quadro il nostro Paese – che, partecipando al G8, contribuisce all’andamento dell’economia mondiale – deve attivarsi per una politica economica internazionale che, favorendo lo sviluppo delle economie locali, consenta il rallentamento della fuga delle persone dai loro Paesi. Allo stesso tempo riteniamo che il nostro Paese debba affrontare definitivamente il problema dei Centri di Permanenza Temporanea, che troppo spesso si sono dimostrati luoghi e strumenti di diminuzione dei diritti umani.
Sottolineiamo infine con forza che non è ulteriormente procrastinabile una legislazione che affronti la questione dei rifugiati: non è più sopportabile che persone richiedenti asilo corrano il rischio di essere rimpatriati in Paesi ove subiranno limitazioni della libertà, o addirittura la tortura e la morte.

7. Giustizia e carceri. Siamo coscienti che un problema di fondo, rispetto al superamento della fase di detenzione negli istituti di pena, è rimuovere le cause sociali della sofferenza e del dolore dei carcerati e delle loro famiglie. A causa dell’elevata percentuale sulla popolazione carceraria, il nostro focus è sulla “detenzione sociale”, composta da tossicodipendenti, immigrati, soggetti non integrati e in condizioni critiche (come malati di mente, senza fissa dimora, poveri senza alcuna risorsa). Hanno tutti in comune la precarietà della loro condizione, che non si cerca però di rimuovere; e certo non aprendo ad essi il carcere, nel quale quella condizione non può che peggiorare, diventando definitiva.
Riteniamo necessario avviare un percorso dal penale al sociale contro la dinamica opposta, nella consapevolezza che il riconoscimento dei diritti dei reclusi e il recupero della finalizzazione riabilitativa della pena, presuppongono necessariamente il contenimento dell'area della detenzione sociale (che è circa i due terzi della popolazione carceraria totale) e del crescente aumento della popolazione carceraria che ne deriva.
La crescita della detenzione sociale, la non risposta della penalizzazione in situazioni che hanno bisogno invece di maggiore attenzione e cura sociale, richiedono urgentemente un profondo ridimensionamento dell'area della penalità nelle materie che concorrono a formare quest’area, aprendola nel modo più efficace possibile alle misure alternative alla detenzione.
Più l'intervento sociale si arricchisce e dà risposte adeguate ai problemi e più l'area della penalità si può ridurre e contenere. I problemi sociali sono complessi e hanno bisogno di risposte che tengano conto di questa complessità: la risposta penale è elementare e brutale e, in effetti, una non-risposta.
La modifica della normativa penale sugli stupefacenti, e una revisione profonda della
legislazione sull’immigrazione, sono i passaggi che la politica deve affrontare con la massima tempestività, se si vuole evitare che la carcerazione sia la risposta alla precarietà sociale da parte di un sistema non più capace di fare a meno della supplenza del sistema penale.

8. Le povertà estreme e le nuove povertà. L’esasperazione della competitività, gli
sprechi di denaro pubblico e la crescente tendenza all’esclusione sociale rendono
sempre più gravi le condizioni di vita degli ultimi e determinano il formarsi di nuove povertà, economiche ed esistenziali: lavoratori e pensionati che non arrivano alla quarta settimana, anziani soli e abbandonati, disoccupati, inoccupati, lavoratori in nero, senza fissa dimora…
Nessuna politica rispettosa della persona umana può prescindere da salari, pensioni,
sussidi e strumenti che consentano a tutti una vita dignitosa. Un segno credibile in
questa direzione sarebbe una sostanziale riduzione di stipendi e compensi aggiuntivi
nel settore pubblico, inaccettabili a fronte di tante situazioni di difficoltà e sofferenza; ma riteniamo che anche le risorse recuperate dalla lotta contro l’evasione fiscale debbano contribuire a far diminuire le ingiuste ineguaglianze tra i cittadini.

9. La Sanità. Anche in questo campo riteniamo che sia inaccettabile la riduzione delle attività riguardanti la salute dei cittadini a logiche mercantili e aziendali. Più che mai in questo settore, la centralità della persona, nella condizione di malato, è valore irrinunciabile. Si va sempre più, invece, verso una privatizzazione della sanità, a scapito delle strutture pubbliche, che di fatto esclude soprattutto i cittadini più poveri.
Riteniamo che occorra perseguire, investendo risorse adeguate nella sanità pubblica, la centralità del diritto alla salute di tutti, da salvaguardare e assicurare con livelli qualitativi paritari in primo luogo per coloro che non hanno risorse economiche. Così come riteniamo che vada difesa la sanità pubblica dagli attacchi mediatici di quanti hanno interessi a pubblicizzarne le sole fragilità, per orientare l’utenza al privato.

10. La comunicazione sociale. Il declino politico, economico, sociale e culturale del
nostro Paese richiede risposte anche da parte dei mezzi di comunicazione sociale,
ambito in cui si giocano interessi crescenti, orientamenti, informazione libera. I media, soprattutto se pubblici, devono essere al servizio del bene comune, della democrazia, della giustizia sociale. È preoccupante l’esclusione della voce dei poveri e di coloro che vivono il disagio dell’amplificazione mediatica, consolidando
un’informazione/comunicazione narcotizzante rispetto ai reali problemi dei cittadini e formatrice di una sub-cultura consumista e qualunquista che tradisce i principi della nostra carta costituzionale e non promuove il consolidamento relazionale e di
trasmissione oggettiva del pensiero nel tessuto sociale, a presidio della crescita umana e culturale del nostro popolo.
Valuteremo nei prossimi giorni i programmi delle persone e dei soggetti politici che sipresentano al voto del prossimo 13-14 aprile, con particolare attenzione alle risposte concrete ai punti evidenziati, espressione concreta della nostra attività sociale quotidiana, nel “farci prossimo” alle donne e agli uomini colpiti da vecchie e nuove povertà, da vecchie e nuove esclusioni, da vecchie e nuove ingiustizie.
Con lo stesso spirito positivo di partecipazione, non ci esimeremo dal sottolineare le scelte politiche rispondenti alle istanze di questo documento.

Roma, 25 Marzo 2008
Jesuit Social Network - JSN
Via degli Astalli, 16 - 00186 Roma
Web: www.jsn.it
E-mail: info@jsn.it

Gli Enti membri del Jesuit Social Network – Italia
Ass. Animazione Quartiere Scampia – Napoli
Ass. Centro Astalli – Roma
Ass. Centro Astalli – Palermo
Ass. Centro Astalli – Catania
Ass. Centro Poggeschi – Bologna
Ass. Comunità Emmanuel – Lecce
Ass. Comunità di Vita Cristiana – Reggio Calabria
Ass. Figli in Famiglia – Napoli
Ass. “Fe y Alegria” - Roma
Ass. Ghihon onlus – Lecce
Ass. “Il Mulino” – Casole (FI)
Ass. Comunità Maranà-tha – Bologna
Ass. Sesta Opera San Fedele – Milano
Centro Animazione Missionaria – Napoli
Comunità Padri Gesuiti – Tirana (Albania)
Consultorio Centro La Famiglia – Napoli
Coop. Sociale “Dai Crocicchi” – Bologna
Coop. Sociale “Nuova Siloe” – Lecce
Fondazione Centro Astalli - Roma
Fondazione Culturale San Fedele – Milano
Fondazione MAGIS – Roma
Fondazione S. Ignazio – Trento
Fondazione San Marcellino – Genova
Istituto di Formazione Politica “Pedro Arrupe” – Palermo
Mov. Lega Missionaria Studenti – Roma
Scuola per Assistenti Sociali “F. S. D’Alcontres” – Modica (RG)


A risentirci,

Andrea Volpe

1 commento:

zouzebi2 ha detto...

Ho letto i dieci punti e sono alquanto stupito dal fatto che tra questi non uno tratta gli argomenti che il Regnante Pontefice addita all'attenzione di noi cattolici, in special modo di quelli impegnati in politica. Mi riferisco, anzi Benedetto XVI si riferisce ai valori non negoziabili ed ai relativi disvalori: matrimonio indissolubile contrapposto a divorzio; diffesa della vita dal concepimento alla fine naturale contrapposta ad abrto e eutanasia; famiglia composta da un uomo (lui sempre uomo!) ed una donna (lei sempre donna!) uniti da SACRO VINCOLO del matrimonio contrapposta ad altre forme di unioni; difesa della salute (soprattutto di bambini, giovani ed anziani) contrapposta alla liberalizazione di ogni tipi di droga pesante o leggera, di alcool e di fumo. Sono queste le linee d demarcazioni reali tra cattolici ed altri, soprattutto in politica. I cattolici stiamo dall'altra parte rispetto ai legislatori che, con i loro progetti di legge o anche con le loro proposte di legge, sostegono questi disvalori; i cattolici stiamo dall'altra parte rispetto ai politici che si alleano con questi legislatori, che fanno coalizioni insieme, che sostengono schieramenti all'interno dei quali sta una plurinfanticda quale Emma Bonino, uno spacciatore recidivo quale Marco Pannella, un distruggitore delle famiglie quali Grillini o Luxuria, una loro complice quale Rosy Bindi, chi si è formato tra le fila radicali come Francesco Rutelli con politiche divorziste ed abrtiste,una codarda ed utile-idiota quale la Binetti!
Noi cattolici desideriamo che questi "loschi figuri" spariscano una volta e per tutte dalla scena politica italiana.
Dall'altra parte dovranno successivamente sparire tutti coloro i quali hanno ripetutamente sostenuto a titolo personale le politiche di cui sopra (Prestigiacomo, Fini, Micciché, ecc.).
Siamo quelli del Dies Familiae (Family day) e vogliamo fare piazza pulita del luridume politico italiano.
E' invece strano che dei Gesuiti e dei laici a loro vicini non sentano queste priorità e si preoccupino magari di problemi, si reali, ma che rispetto ai VALORI NON NEGOZIABILI occupano un posto secondario sulla scena politica italiana!!