Figura mitica della Città di Palermo, essa è una metafora del popolo siciliano, spesso non sufficientemente compresa: un Re seduto su una roccia, che rappresenterebbe il suo trono, con il corpo da giovane e il volto di vecchio, una corona ducale e un serpente che gli si insinua dentro il suo petto, gli succhia il sangue e gli dilania la carne.
A Palermo il genio è raffigurato in diversi significativi luoghi: nel mercato della Vucciria, sulla fontana di Piazza della Rivoluzione, in Piazzetta Garraffo, sullo scalone principale di Palazzo delle Aquile, in una fontana di Villa Giulia, all’esterno della Cappella Palatina ed infine, il più antico, vicino al vecchio molo del porto.
È sorprendente che la Statua simbolo di Palermo sia un Re che abbraccia un serpente.
Nel serpente la tradizione identifica il dominatore straniero: Il Re Palermo lo abbraccio, ma l’invasore serpente lo divora...! Penso che più espliciti di così non si possa essere nell'iconografia simbolica del carattere siciliano.
E gli invasori non sono solo quelli che vengono da fuori, ma anche e soprattutto i locali che si asservono ai dominatori!
Dovremmo riprenderci l'orgoglio perduto che questa politica ha ridotto a bisogno e sopravvivenza!
Andrea Volpe
lunedì 25 maggio 2009
giovedì 26 febbraio 2009
LA VERA TRADIZIONE DELLA CHIESA
Nella Chiesa Cattolica il dogma esprime una verità di fede creduta da tutti, da sempre ed ovunque: presenta, quindi, come parametri validi di riconoscimento l'antichità e il consenso universale.
La verità dogmatica è opera della Rivelazione Divina e viene promulgata, mediante uno specifico processo, dal Sommo Pontefice: «La definizione del dogma, sulla scia della fede universale del popolo di Dio, esclude definitivamente ogni dubbio e postula l'espressa adesione di tutti i cristiani» (v. Udienza generale di Giovanni Paolo II del 2 luglio 1997 nn. 2-3).
Da questo punto di vista le verità dogmatiche, diversamente da altri atti magisteriali, hanno la peculiarità di non essere reformabili. In ordine di tempo gli ultimi documenti dogmatici, ai quali è dovuto l'ossequio e l'obbedienza della fede, sono proprio le Costituzioni Dogmatiche del Concilio Vaticano II.
Fra queste c’è la DEI VERBUM: promulgata da Paolo VI il 18 novembre 1965, essa riguarda specificatamente la Divina Rivelazione, che, nell’ambito della dottrina della Chiesa Cattolica Romana, prende corpo dall’unico deposito costituito dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione.
La DEI VERBUM al n. 8b così caratterizza la Tradizione: «Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con la intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le Parole di Dio».
Nella Costituzione Conciliare la presenza di quei tre «sia» (nella versione latina tum) definisce il modo autentico di declinare Tradizione nella Chiesa: la Tradizione cresce solo se i credenti studiano la parola, se vi è intelligentia delle cose spirituali e se vi è la predicazione episcopale. Quando si amputa uno dei tre «sia», o anche vengono tra loro disarticolati, si travisa la Tradizione e si devia per un percorso erratico, genericamente indicato come “tradizionalismo”.
C’è una notazione importante sul Concilio Vaticano II, che almeno per le più giovani generazioni deve essere messa in risalto: le dinamiche di fede che hanno ispirato il Concilio Vaticano II non sono state quelle della discontinuità, ma della continuità con la più vera Tradizione della Chiesa Cattolica, come recentemente ha sottolineato lo stesso Benedetto XVI nel suo discorso Ai membri della Curia e della Prelatura Romana per la presentazione degli auguri natalizi del 22 dicembre 2005.
Ed in effetti, se a livello storico si vanno a rivedere quali sono stati i Movimenti ecclesiali preconciliari che hanno portato alle Costituzioni dogmatiche del Concilio Vaticano II, ci si renderà conto che il Concilio, lungi dall'esser stato un puro moto di rinnovamento, è stato soprattutto un moto di riscoperta delle più vere e profonde radici cristiane, in questo ispirato dall’azione dello Spirito e suggellato dai pronunciamenti dogmatici di Paolo VI.
Per tutte le ragioni sopra esposte, l’attuale vicenda dei seguaci di Mons. Lefebvre continua a ledere gravemente la pax ecclesiale e ad offendere la dignità del “Ministero Petrino”.
Ad oggi i lefebvriani, piuttosto che rivendicare una propria tradizione, che, per quanto si è detto, non hanno mai potuto avere non solo per motivi disciplinari (Giovanni Paolo II con il motu proprio “Ecclesia Dei” del 2 luglio 1988 ha scomunicato i lefebvriani), ma anche per ragioni di mancata comprensione storica e di fede degli eventi conciliari, invece avrebbero bisogno di un di un processo di conversione, che, sebbene più volte richiesto da Benedetto XVI, malgrado il suo gratuito perdono paterno non pare esser stato ancora intrapreso.
Andrea Volpe
La verità dogmatica è opera della Rivelazione Divina e viene promulgata, mediante uno specifico processo, dal Sommo Pontefice: «La definizione del dogma, sulla scia della fede universale del popolo di Dio, esclude definitivamente ogni dubbio e postula l'espressa adesione di tutti i cristiani» (v. Udienza generale di Giovanni Paolo II del 2 luglio 1997 nn. 2-3).
Da questo punto di vista le verità dogmatiche, diversamente da altri atti magisteriali, hanno la peculiarità di non essere reformabili. In ordine di tempo gli ultimi documenti dogmatici, ai quali è dovuto l'ossequio e l'obbedienza della fede, sono proprio le Costituzioni Dogmatiche del Concilio Vaticano II.
Fra queste c’è la DEI VERBUM: promulgata da Paolo VI il 18 novembre 1965, essa riguarda specificatamente la Divina Rivelazione, che, nell’ambito della dottrina della Chiesa Cattolica Romana, prende corpo dall’unico deposito costituito dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione.
La DEI VERBUM al n. 8b così caratterizza la Tradizione: «Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con la intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le Parole di Dio».
Nella Costituzione Conciliare la presenza di quei tre «sia» (nella versione latina tum) definisce il modo autentico di declinare Tradizione nella Chiesa: la Tradizione cresce solo se i credenti studiano la parola, se vi è intelligentia delle cose spirituali e se vi è la predicazione episcopale. Quando si amputa uno dei tre «sia», o anche vengono tra loro disarticolati, si travisa la Tradizione e si devia per un percorso erratico, genericamente indicato come “tradizionalismo”.
C’è una notazione importante sul Concilio Vaticano II, che almeno per le più giovani generazioni deve essere messa in risalto: le dinamiche di fede che hanno ispirato il Concilio Vaticano II non sono state quelle della discontinuità, ma della continuità con la più vera Tradizione della Chiesa Cattolica, come recentemente ha sottolineato lo stesso Benedetto XVI nel suo discorso Ai membri della Curia e della Prelatura Romana per la presentazione degli auguri natalizi del 22 dicembre 2005.
Ed in effetti, se a livello storico si vanno a rivedere quali sono stati i Movimenti ecclesiali preconciliari che hanno portato alle Costituzioni dogmatiche del Concilio Vaticano II, ci si renderà conto che il Concilio, lungi dall'esser stato un puro moto di rinnovamento, è stato soprattutto un moto di riscoperta delle più vere e profonde radici cristiane, in questo ispirato dall’azione dello Spirito e suggellato dai pronunciamenti dogmatici di Paolo VI.
Per tutte le ragioni sopra esposte, l’attuale vicenda dei seguaci di Mons. Lefebvre continua a ledere gravemente la pax ecclesiale e ad offendere la dignità del “Ministero Petrino”.
Ad oggi i lefebvriani, piuttosto che rivendicare una propria tradizione, che, per quanto si è detto, non hanno mai potuto avere non solo per motivi disciplinari (Giovanni Paolo II con il motu proprio “Ecclesia Dei” del 2 luglio 1988 ha scomunicato i lefebvriani), ma anche per ragioni di mancata comprensione storica e di fede degli eventi conciliari, invece avrebbero bisogno di un di un processo di conversione, che, sebbene più volte richiesto da Benedetto XVI, malgrado il suo gratuito perdono paterno non pare esser stato ancora intrapreso.
Andrea Volpe
Cosa ci insegnano le Elezioni Regionali in Sardegna
C’è una lettura macroscopica del dato delle Elezioni Regionali in Sardegna, che è il seguente:
Ugo Cappellacci 51,90% Liste collegate 56,71%
Renato Soru 42,89% Liste collegate 38,62%
Vittoria a mani basse del Centrodestra e del suo Candidato alla Presidenza della Regione. Amen!
Ma se si vanno a prendere le percentuali dei due Partiti protagonisti della cosiddetta “vocazione maggioritaria” e si confrontano con i risultati delle Politiche 2008, i conti cominciano a non tornare:
Regionali 2009 Politiche 2008 Differenza
Pdl 30,53% 42,40 11,87%
Pd 24,42% 36,20 11,78%
Intanto mentre nel 2008 Pdl e Pd insieme avevano un 78,60% del consenso, oggi rappresentano appena il 54,95%.
Ancora si vede chiaramente che a perdere non è stato solo il Pd, ma nella stessa misura anche il Pdl.
Dove sono finiti tutti questi voti?
Il 9,37% se li è presi l’Udc, che probabilmente ha messo a frutto il fatto di essere ormai l’unico partito a dichiararsi di ispirazione cattolica ed anche il suo peculiare radicamento in Sardegna.
L’Idv di Di Pietro ha raccolto il 5,20% con una leggera crescita rispetto al 4,00% delle Politiche 2008.
I cespugli della sinistra insieme raccolgono l’8,99%, quasi quanto l’Udc.
I Riformatori, assieme all’Uds-Psi, a destra mettono insieme ben il 10,31%.
Infine c’è la tradizionale area autonomista sarda, in queste elezioni presentasi frammentata e composta da Psd’A, MPA e dalle due liste indipendentiste di Gavino Sale e Gianfranco Sollai: quest’area oggi rappresenta l’8,97%.
A voler essere precisi, per completare il quadro c’è ancora la lista socialista di Peppino Balia con il 2,14%.
Da questa più accurata analisi risulta evidente che alle elezioni regionali della Sardegna dal punto di vista politico il vero sconfitto è stato il bipartitismo fondato sulla coppia Pdl-Pd, di fronte alla constatazione che fuori da questo duopolio resta ben il 45% dell’elettorato!
Letti così, i risultati elettorali sardi indicano che c’è un’insufficienza dei due maggiori partiti nazionali e, se si vuole, anche una sofferenza di larghe fasce elettorali nei loro confronti.
È pur vero che questi risultati non hanno valenza nazionale, ma solo locale. Ma se fossero sintomatici del sentire politico nazionale, ci troveremmo in un bel pasticcio, perché al di là dei sondaggi che dicono gli italiani favorevoli agli sbarramenti (ma bisognerebbe capire bene che cosa è stato chiesto nel sondaggio…) e al di là anche alla volontà della diade Pdl-Pd di legittimarsi a vicenda il duopolio del potere, in effetti la Nazione non è pronta ad una gestione bipartitica di tipo anglosassone.
Questa situazione poi nell’area del Pd è tragicamente aggravata dalle dimissioni del Segretario Veltroni e dal verosimile ritorno indietro sulla veltroniana “vocazione maggioritaria”, che ha portato la sinistra italiana alla sconfitta e alla depressione permanente.
Nel frattempo, però, il Pd ha promosso ed ottenuto… (sic!) lo sbarramento anche alle Elezioni Europee e adesso si trova ad andare alla prossima tornata elettorale con una legge che ha voluto, ma che già non corrisponde più alla sua nuova linea politica!
Mai una conduzione partitica è stata così squinternata e scriteriata come quella del Pd e di Veltroni, che ad oggi è stato il miglior alleato che Berlusconi abbia potuto avere!
Speriamo bene per l’Italia!
Ugo Cappellacci 51,90% Liste collegate 56,71%
Renato Soru 42,89% Liste collegate 38,62%
Vittoria a mani basse del Centrodestra e del suo Candidato alla Presidenza della Regione. Amen!
Ma se si vanno a prendere le percentuali dei due Partiti protagonisti della cosiddetta “vocazione maggioritaria” e si confrontano con i risultati delle Politiche 2008, i conti cominciano a non tornare:
Regionali 2009 Politiche 2008 Differenza
Pdl 30,53% 42,40 11,87%
Pd 24,42% 36,20 11,78%
Intanto mentre nel 2008 Pdl e Pd insieme avevano un 78,60% del consenso, oggi rappresentano appena il 54,95%.
Ancora si vede chiaramente che a perdere non è stato solo il Pd, ma nella stessa misura anche il Pdl.
Dove sono finiti tutti questi voti?
Il 9,37% se li è presi l’Udc, che probabilmente ha messo a frutto il fatto di essere ormai l’unico partito a dichiararsi di ispirazione cattolica ed anche il suo peculiare radicamento in Sardegna.
L’Idv di Di Pietro ha raccolto il 5,20% con una leggera crescita rispetto al 4,00% delle Politiche 2008.
I cespugli della sinistra insieme raccolgono l’8,99%, quasi quanto l’Udc.
I Riformatori, assieme all’Uds-Psi, a destra mettono insieme ben il 10,31%.
Infine c’è la tradizionale area autonomista sarda, in queste elezioni presentasi frammentata e composta da Psd’A, MPA e dalle due liste indipendentiste di Gavino Sale e Gianfranco Sollai: quest’area oggi rappresenta l’8,97%.
A voler essere precisi, per completare il quadro c’è ancora la lista socialista di Peppino Balia con il 2,14%.
Da questa più accurata analisi risulta evidente che alle elezioni regionali della Sardegna dal punto di vista politico il vero sconfitto è stato il bipartitismo fondato sulla coppia Pdl-Pd, di fronte alla constatazione che fuori da questo duopolio resta ben il 45% dell’elettorato!
Letti così, i risultati elettorali sardi indicano che c’è un’insufficienza dei due maggiori partiti nazionali e, se si vuole, anche una sofferenza di larghe fasce elettorali nei loro confronti.
È pur vero che questi risultati non hanno valenza nazionale, ma solo locale. Ma se fossero sintomatici del sentire politico nazionale, ci troveremmo in un bel pasticcio, perché al di là dei sondaggi che dicono gli italiani favorevoli agli sbarramenti (ma bisognerebbe capire bene che cosa è stato chiesto nel sondaggio…) e al di là anche alla volontà della diade Pdl-Pd di legittimarsi a vicenda il duopolio del potere, in effetti la Nazione non è pronta ad una gestione bipartitica di tipo anglosassone.
Questa situazione poi nell’area del Pd è tragicamente aggravata dalle dimissioni del Segretario Veltroni e dal verosimile ritorno indietro sulla veltroniana “vocazione maggioritaria”, che ha portato la sinistra italiana alla sconfitta e alla depressione permanente.
Nel frattempo, però, il Pd ha promosso ed ottenuto… (sic!) lo sbarramento anche alle Elezioni Europee e adesso si trova ad andare alla prossima tornata elettorale con una legge che ha voluto, ma che già non corrisponde più alla sua nuova linea politica!
Mai una conduzione partitica è stata così squinternata e scriteriata come quella del Pd e di Veltroni, che ad oggi è stato il miglior alleato che Berlusconi abbia potuto avere!
Speriamo bene per l’Italia!
lunedì 2 febbraio 2009
Sbarramento del 4% alle Elezioni Europee?
Sbarramento del 4% alle Elezioni Europee?
Lo sbarramento al 4% per le Elezioni Europee costituirebbe un’ulteriore svolta autoritaria, che andrebbe al di là del dato, già di per sé grave, di cancellare identità politiche meritevoli di cittadinanza nel contesto della politica italiana.
Infatti tale sbarramento, applicato all’ambito nazionale, impedirebbe di dare voce anche a istanze politiche che localmente rappresentano molto di più del 4%, sebbene a livello nazionale restino sotto tale soglia. E questo comporta pericoli oggettivi per l’unità e la democrazia della Nazione: non si può permettere che minoranze territorialmente significative non siano politicamente rappresentate.
Ma in tutto questo c’è una “contraddizione in termini” molto più grave e stridente: in un momento in cui a fatica la Nazione sta andando verso una riscrittura federalista della propria struttura, uno sbarramento elettorale a scala nazionale sarebbe percepito come un segnale di direzione opposta alle riforme in atto e darebbe al popolo italiano l’ennesima indicazione di incoerenza dell’attuale classe politica.
Dopo, il fatto che l’imposizione di tale sbarramento sia realizzata a ragione di un’intesa tra PDL e PD la dice lunga sulla salute mentale di molti nostri politici.
Il PDL, partito padronale e oggi largamente maggioritario nel Paese, fa il suo gioco e da un punto di vista cinicamente politico, ahinoi, si può dire poco!
Ma è il PD che in questa vicenda mostra chiari sintomi di schizofrenia mentale, a partire dalle dichiarazioni di Dario Franceschini, che parla di una democrazia fondata su due soli partiti, il PD e il PDL. Infatti, il molto modesto Dario non si accorge che tra PD e PDL oggi ci sono quasi 20 punti percentuali di differenza nel consenso e che un tale accordo cancellerebbe, assieme alle identità politiche minori di destra e di sinistra, anche lo stesso PD!
A meno che l’accordo raggiunto da Franceschini con il PDL non serva solo agli attuali maggiorenti del PD per salvare esclusivamente le proprie poltrone in un contesto di ulteriore perdita della loro rappresentatività, e, a questo punto, anche della loro personale credibilità politica.
E forza parlamentari del PD, un sussulto di dignità, per cortesia!
Le pensioni già le avete! Invece di continuare a pensare ai vostri stipendi e alle vostre prebende, pensate un po’ alla Nazione!
E anche voi “dipietristi”, sempre pronti a sparare a zero su tutto, non è che stavolta starete zitti di fronte a questo ennesimo scippo di democrazia nei confronti del popolo italiano, solo perché vi conviene e sapete bene di essere gli unici beneficiari di questa operazione?
Se si vuole limitare la frammentazione del quadro politico, l’unica iniziativa congruente con il clima politico attuale, tutto teso verso il federalismo, sarebbe quello di applicare un eventuale (per quanto non necessario) sbarramento selettivamente a bacini elettorali omogenei, come potrebbero essere le regioni o i collegi elettorali, rispettando così le esigenze e la dignità territoriali.
Andrea Volpe
Lo sbarramento al 4% per le Elezioni Europee costituirebbe un’ulteriore svolta autoritaria, che andrebbe al di là del dato, già di per sé grave, di cancellare identità politiche meritevoli di cittadinanza nel contesto della politica italiana.
Infatti tale sbarramento, applicato all’ambito nazionale, impedirebbe di dare voce anche a istanze politiche che localmente rappresentano molto di più del 4%, sebbene a livello nazionale restino sotto tale soglia. E questo comporta pericoli oggettivi per l’unità e la democrazia della Nazione: non si può permettere che minoranze territorialmente significative non siano politicamente rappresentate.
Ma in tutto questo c’è una “contraddizione in termini” molto più grave e stridente: in un momento in cui a fatica la Nazione sta andando verso una riscrittura federalista della propria struttura, uno sbarramento elettorale a scala nazionale sarebbe percepito come un segnale di direzione opposta alle riforme in atto e darebbe al popolo italiano l’ennesima indicazione di incoerenza dell’attuale classe politica.
Dopo, il fatto che l’imposizione di tale sbarramento sia realizzata a ragione di un’intesa tra PDL e PD la dice lunga sulla salute mentale di molti nostri politici.
Il PDL, partito padronale e oggi largamente maggioritario nel Paese, fa il suo gioco e da un punto di vista cinicamente politico, ahinoi, si può dire poco!
Ma è il PD che in questa vicenda mostra chiari sintomi di schizofrenia mentale, a partire dalle dichiarazioni di Dario Franceschini, che parla di una democrazia fondata su due soli partiti, il PD e il PDL. Infatti, il molto modesto Dario non si accorge che tra PD e PDL oggi ci sono quasi 20 punti percentuali di differenza nel consenso e che un tale accordo cancellerebbe, assieme alle identità politiche minori di destra e di sinistra, anche lo stesso PD!
A meno che l’accordo raggiunto da Franceschini con il PDL non serva solo agli attuali maggiorenti del PD per salvare esclusivamente le proprie poltrone in un contesto di ulteriore perdita della loro rappresentatività, e, a questo punto, anche della loro personale credibilità politica.
E forza parlamentari del PD, un sussulto di dignità, per cortesia!
Le pensioni già le avete! Invece di continuare a pensare ai vostri stipendi e alle vostre prebende, pensate un po’ alla Nazione!
E anche voi “dipietristi”, sempre pronti a sparare a zero su tutto, non è che stavolta starete zitti di fronte a questo ennesimo scippo di democrazia nei confronti del popolo italiano, solo perché vi conviene e sapete bene di essere gli unici beneficiari di questa operazione?
Se si vuole limitare la frammentazione del quadro politico, l’unica iniziativa congruente con il clima politico attuale, tutto teso verso il federalismo, sarebbe quello di applicare un eventuale (per quanto non necessario) sbarramento selettivamente a bacini elettorali omogenei, come potrebbero essere le regioni o i collegi elettorali, rispettando così le esigenze e la dignità territoriali.
Andrea Volpe
domenica 28 dicembre 2008
Può l'ecumenismo iniziare dal Santo Sepolcro?
Alcune settimane orsono sono circolate in TV delle angoscianti riprese, che mostravano religiosi di differenti confessioni cristiane malmenarsi di brutto, utilizzando come armi, oltre le nude mani, anche gli oggetti sacri presenti dentro l’area del Santo Sepolcro in Gerusalemme.
Anch’io nel luglio di quest'anno ho visitato il Santo Sepolcro e la scena della rissa furibonda tra religiosi, divulgata dai mass media, mi ha riportato alla memoria un’altra scena, che mi è rimasta come un pugno conficcato nello stomaco.
Mi riferisco al dato di fatto che proprio dentro la Basilica, che ha spazi ovviamente limitati perchè densamente occupati da tutte le memorie che vi si celebrano, si trova un'ampia area che dovrebbe essere dedicata al sollievo dei tantissimi e stanchi pellegrini, che arrivano al Santo Sepolcro: in parole povere si tratta di un ampio spazio con bagni e lavelli, che invece di essere dedicata al decoro e alla decenza dei pellegrini, è tenuta in condizioni di inagibilità totale. Infatti, le porte dei bagni sono scardinate, i lavelli asportati e antichi rubinetti sversano direttamente su un bel pavimento marmoreo, la pulizia è inesistente e l'odore è nauseabondo: il tutto nel bel mezzo dello storico edificio che custodisce il Santo Sepolcro!
Un francescano del luogo ci ha fatto notare che non è possibile intervenire in alcun modo, perchè la consuetudine di Terra Santa permetterebbe a chi ripara e cura un qualche luogo sacro, di accampare poi su di esso anche una sorta di diritto di proprietà! Giacché il Santo Sepolcro è “con – custodito” da tante diverse Chiese cristiane, non è possibile far nulla, perchè ogni confessione impedisce all'altra di fare qualcosa.
E così, quello che non hanno fatto i legionari romani, che si sono rifiutati di tagliare la tunica del Cristo per dividersela (Gv 19,23-24), episodio che nel messaggio evangelico significa l'unità della Chiesa di Cristo, sono riusciti a farlo le diverse confessioni cristiane!
Io non so chi ha la potestà di intervenire, però ritengo che il Vaticano, che non è solo un'autorità morale, ma anche economica e politica, potrebbe e dovrebbe intraprendere un'azione ecumenica specifica per il Santo Sepolcro e cercare di portare alla ragione alcune decine di scalmanati monaci di diverse confessioni cristiane!
E' ragionevole che la Curia Romana si occupi di tutto quello che succede in Italia e nel mondo e non si occupi della buona custodia dei Luoghi Santi?
Sua Santità Benedetto XVI, del quale è stato annunciato un pellegrinaggio in Terra Santa, voglia, assieme agli altri capi delle diverse confessioni cristiane, spendersi anche per il decoro ed il rispetto dei luoghi di Terra Santa: lo dico veramente con accorata, deferente e, soprattutto, fiduciosa intenzione!
Da dove deve iniziare l'azione ecumenica delle Chiese cristiane, se non dal Santo Sepolcro?
Con speranza,
Andrea Volpe
Anch’io nel luglio di quest'anno ho visitato il Santo Sepolcro e la scena della rissa furibonda tra religiosi, divulgata dai mass media, mi ha riportato alla memoria un’altra scena, che mi è rimasta come un pugno conficcato nello stomaco.
Mi riferisco al dato di fatto che proprio dentro la Basilica, che ha spazi ovviamente limitati perchè densamente occupati da tutte le memorie che vi si celebrano, si trova un'ampia area che dovrebbe essere dedicata al sollievo dei tantissimi e stanchi pellegrini, che arrivano al Santo Sepolcro: in parole povere si tratta di un ampio spazio con bagni e lavelli, che invece di essere dedicata al decoro e alla decenza dei pellegrini, è tenuta in condizioni di inagibilità totale. Infatti, le porte dei bagni sono scardinate, i lavelli asportati e antichi rubinetti sversano direttamente su un bel pavimento marmoreo, la pulizia è inesistente e l'odore è nauseabondo: il tutto nel bel mezzo dello storico edificio che custodisce il Santo Sepolcro!
Un francescano del luogo ci ha fatto notare che non è possibile intervenire in alcun modo, perchè la consuetudine di Terra Santa permetterebbe a chi ripara e cura un qualche luogo sacro, di accampare poi su di esso anche una sorta di diritto di proprietà! Giacché il Santo Sepolcro è “con – custodito” da tante diverse Chiese cristiane, non è possibile far nulla, perchè ogni confessione impedisce all'altra di fare qualcosa.
E così, quello che non hanno fatto i legionari romani, che si sono rifiutati di tagliare la tunica del Cristo per dividersela (Gv 19,23-24), episodio che nel messaggio evangelico significa l'unità della Chiesa di Cristo, sono riusciti a farlo le diverse confessioni cristiane!
Io non so chi ha la potestà di intervenire, però ritengo che il Vaticano, che non è solo un'autorità morale, ma anche economica e politica, potrebbe e dovrebbe intraprendere un'azione ecumenica specifica per il Santo Sepolcro e cercare di portare alla ragione alcune decine di scalmanati monaci di diverse confessioni cristiane!
E' ragionevole che la Curia Romana si occupi di tutto quello che succede in Italia e nel mondo e non si occupi della buona custodia dei Luoghi Santi?
Sua Santità Benedetto XVI, del quale è stato annunciato un pellegrinaggio in Terra Santa, voglia, assieme agli altri capi delle diverse confessioni cristiane, spendersi anche per il decoro ed il rispetto dei luoghi di Terra Santa: lo dico veramente con accorata, deferente e, soprattutto, fiduciosa intenzione!
Da dove deve iniziare l'azione ecumenica delle Chiese cristiane, se non dal Santo Sepolcro?
Con speranza,
Andrea Volpe
martedì 16 dicembre 2008
Politica, mafia, malcostume e sanità
Nella stampa dei giorni scorsi sono circolate dichiarazioni contro l’Assessore Regionale alla Sanità Massimo Russo, considerato reo di avvertire l’opera di mafia e clientelismo nel sistema sanitario della nostra Isola. Gli appunti sono pervenuti da parte di alcuni politici, come Vizzini e Caputo, ed hanno il seguente tono: «Se l'Assessore Russo sa i nomi, perchè non li fa»!
Certo non è meritevole per questi politici che io adesso mi trovi costretto a ricordare che in Sicilia la mafia spesso si respira, come un diffuso gas tossico, ma è cosa veramente complicata e difficile riconoscere dove quest’aria insalubre venga prodotta e inquinata.
Per questo, sarebbe compito della politica non colpevolizzare chi si sente soffocato da quest'aria pestifera, ma adoperarsi perchè arrivino correnti fresche e pulite che possano spazzare via tutto ciò che c'è di compromesso e stantìo nella politica siciliana!
Ben altro, mi pare, dovrebbe essere l'atteggiamento da tenere.
I materiali di consumo acquistati in emergenza a prezzi esorbitanti dalle strutture sanitarie, perchè chi è addetto al servizio di espletare le gare non fa il suo dovere, l'endemica disorganizzazione delle strutture sanitarie pubbliche, la dissonanza tra personale inutilizzato e personale sovraccarico di lavoro, il privilegio di personale sanitario assunto e protetto dal potente politico di turno e la consequenziale sperequazione di trattamento, assieme a tanti altri costituiscono fatti che sono sotto gli occhi di tutti!
Di questo dovrebbero occuparsi i politici e, di conseguenza, adoperarsi affinché un assessore di buona volontà possa operare proficuamente!
E questo appello ai politici non può essere differenziato tra politici di sinistra e politici di destra, ma è un appello che va indirizzato indistintamente a tutti, perchè tutti in questo campo hanno qualcosa da farsi perdonare!
E a qualunque politico, di destra o di sinistra, che si opponga a questa rifondazione del servizio sanitario regionale, è addebitabile la volontà sospetta di voler mantenere lo "status quo".
Questo è il tipico caso in cui il farsi indietro dei politici di sinistra, solo perchè opposizione, sarebbe la dichiarazione esplicita di connivenza con ciò che c'è di più oscuro ed inquietante nella politica malata della nostra Isola.
Qualcuno, sia a destra che a sinistra, l'ha capito.
Speriamo che i rigurgiti di politici, come quelli sopra segnalati, siano sempre più rari e marginali e si possa procedere realmente sulla via del progresso e del risanamento etico e culturale delle nostre istituzioni.
Andrea Volpe
Certo non è meritevole per questi politici che io adesso mi trovi costretto a ricordare che in Sicilia la mafia spesso si respira, come un diffuso gas tossico, ma è cosa veramente complicata e difficile riconoscere dove quest’aria insalubre venga prodotta e inquinata.
Per questo, sarebbe compito della politica non colpevolizzare chi si sente soffocato da quest'aria pestifera, ma adoperarsi perchè arrivino correnti fresche e pulite che possano spazzare via tutto ciò che c'è di compromesso e stantìo nella politica siciliana!
Ben altro, mi pare, dovrebbe essere l'atteggiamento da tenere.
I materiali di consumo acquistati in emergenza a prezzi esorbitanti dalle strutture sanitarie, perchè chi è addetto al servizio di espletare le gare non fa il suo dovere, l'endemica disorganizzazione delle strutture sanitarie pubbliche, la dissonanza tra personale inutilizzato e personale sovraccarico di lavoro, il privilegio di personale sanitario assunto e protetto dal potente politico di turno e la consequenziale sperequazione di trattamento, assieme a tanti altri costituiscono fatti che sono sotto gli occhi di tutti!
Di questo dovrebbero occuparsi i politici e, di conseguenza, adoperarsi affinché un assessore di buona volontà possa operare proficuamente!
E questo appello ai politici non può essere differenziato tra politici di sinistra e politici di destra, ma è un appello che va indirizzato indistintamente a tutti, perchè tutti in questo campo hanno qualcosa da farsi perdonare!
E a qualunque politico, di destra o di sinistra, che si opponga a questa rifondazione del servizio sanitario regionale, è addebitabile la volontà sospetta di voler mantenere lo "status quo".
Questo è il tipico caso in cui il farsi indietro dei politici di sinistra, solo perchè opposizione, sarebbe la dichiarazione esplicita di connivenza con ciò che c'è di più oscuro ed inquietante nella politica malata della nostra Isola.
Qualcuno, sia a destra che a sinistra, l'ha capito.
Speriamo che i rigurgiti di politici, come quelli sopra segnalati, siano sempre più rari e marginali e si possa procedere realmente sulla via del progresso e del risanamento etico e culturale delle nostre istituzioni.
Andrea Volpe
giovedì 6 novembre 2008
Obama è nero o afroamericano?
Obama è nero o afroamericano?
La domanda non è mia, ma l’ha posta Bruno Vespa, quando la notte del 4 novembre ha seguito lo spoglio per l’elezione del Presidente degli Stati Uniti d’America.
Vespa ha dopo risolto la questione nella direzione di considerare Obama afroamericano, se ho ben capito, per ragioni di antirazzismo.
Anch’io concordo con quanti affermano che con il 4 novembre 2008 è arrivato alla Casa Bianca l’afroamericano Obama, ma avrei preferito che vi fosse arrivato il nero, anzi il negro Obama!
Cercherò di spiegarmi meglio.
Obama è figlio di un immigrato africano di carnagione nera e di una donna bianca di nazionalità americana: pertanto egli appartiene alla schiera degli immigrati negli Stati Uniti, alla quale appartengono anche i componenti delle diverse comunità immigrate, tra le quali anche quelle italiana, ispanica, cinese, russa, ecc..
Egli è un meritevole, anzi al momento il più meritevole rappresentante degli immigrati che con la loro identità e il loro impegno hanno reso gli Stati Uniti d’America la più importante e forte nazione del mondo: la sua elezione a Presidente è veramente una rivoluzione per il suo Paese e per il mondo intero.
Ma io, per il futuro, resto in attesa di una rivoluzione ancora più grande, che, prima o poi, sono certo arriverà: quella dell’elezione a Presidente degli Stati Uniti d’America di un negro, cioè di un discendente di quegli africani che in catene sono stati portati nel Nord America ai tempi della tratta degli schiavi.
Solo allora potremmo pensare che il razzismo in America sia stato veramente sconfitto.
Per questo io ritengo che sarebbe stato molto più antirazzista e più rivoluzionario se Bruno Vespa la notte del 4 novembre avesse potuto risolvere il suo dilemma con l’annuncio: “Un negro alla Casa Bianca”!
Non per nulla, mentre su Obama copioso si è riversato il voto di comunità immigrate, come l’ispanica, oltre che dei giovani, il voto negro, invece, pare che non sia stato poi così esclusivamente e decisamente indirizzato verso di lui.
Questo non toglie nulla al valore dell’elezione di Obama: lascia, invece, ulteriori margini di progresso a questo incredibile Paese che sono gli Stati Uniti d’America.
In appendice mi si lasci affermare un altro concetto: finiamola di accostare la vicenda americana a quella italiana!
Da noi, purtroppo, non esistono politici come Barack Obama e nemmeno come John McCaine!
L’elezione di Barack Obama non rilancerà in Italia le sorti di leader come Veltroni o altri simili a lui, perché nella nostra “casta politica” è troppo infiltrato il tarlo del privilegio e del mantenimento dello status quo.
Invece, l’elezione di Barack Obama potrà anche in Italia aprire le porte a qualcosa di diverso, in cui tutti speriamo, ma che, al momento, non riusciamo ancora ad intravedere.
Andrea Volpe
La domanda non è mia, ma l’ha posta Bruno Vespa, quando la notte del 4 novembre ha seguito lo spoglio per l’elezione del Presidente degli Stati Uniti d’America.
Vespa ha dopo risolto la questione nella direzione di considerare Obama afroamericano, se ho ben capito, per ragioni di antirazzismo.
Anch’io concordo con quanti affermano che con il 4 novembre 2008 è arrivato alla Casa Bianca l’afroamericano Obama, ma avrei preferito che vi fosse arrivato il nero, anzi il negro Obama!
Cercherò di spiegarmi meglio.
Obama è figlio di un immigrato africano di carnagione nera e di una donna bianca di nazionalità americana: pertanto egli appartiene alla schiera degli immigrati negli Stati Uniti, alla quale appartengono anche i componenti delle diverse comunità immigrate, tra le quali anche quelle italiana, ispanica, cinese, russa, ecc..
Egli è un meritevole, anzi al momento il più meritevole rappresentante degli immigrati che con la loro identità e il loro impegno hanno reso gli Stati Uniti d’America la più importante e forte nazione del mondo: la sua elezione a Presidente è veramente una rivoluzione per il suo Paese e per il mondo intero.
Ma io, per il futuro, resto in attesa di una rivoluzione ancora più grande, che, prima o poi, sono certo arriverà: quella dell’elezione a Presidente degli Stati Uniti d’America di un negro, cioè di un discendente di quegli africani che in catene sono stati portati nel Nord America ai tempi della tratta degli schiavi.
Solo allora potremmo pensare che il razzismo in America sia stato veramente sconfitto.
Per questo io ritengo che sarebbe stato molto più antirazzista e più rivoluzionario se Bruno Vespa la notte del 4 novembre avesse potuto risolvere il suo dilemma con l’annuncio: “Un negro alla Casa Bianca”!
Non per nulla, mentre su Obama copioso si è riversato il voto di comunità immigrate, come l’ispanica, oltre che dei giovani, il voto negro, invece, pare che non sia stato poi così esclusivamente e decisamente indirizzato verso di lui.
Questo non toglie nulla al valore dell’elezione di Obama: lascia, invece, ulteriori margini di progresso a questo incredibile Paese che sono gli Stati Uniti d’America.
In appendice mi si lasci affermare un altro concetto: finiamola di accostare la vicenda americana a quella italiana!
Da noi, purtroppo, non esistono politici come Barack Obama e nemmeno come John McCaine!
L’elezione di Barack Obama non rilancerà in Italia le sorti di leader come Veltroni o altri simili a lui, perché nella nostra “casta politica” è troppo infiltrato il tarlo del privilegio e del mantenimento dello status quo.
Invece, l’elezione di Barack Obama potrà anche in Italia aprire le porte a qualcosa di diverso, in cui tutti speriamo, ma che, al momento, non riusciamo ancora ad intravedere.
Andrea Volpe
martedì 4 novembre 2008
La politica: business o servizio?
La politica: business o servizio?
Mi pare veramente una bella domanda e conosco veramente bene le due risposte che sistematicamente arrivano:
- l’una sorniona e sorridente: «Ma fammi il piacere...! Non farmi ridere…Da sempre e da qualunque parte la politica è stata un affare! Ognuno si è sempre fatti i c…. suoi….»
- l’altra seriosa e scandalizzata (ma per niente convinta!): «Ma come si fa a pensare alla politica come un affare…, certo che è un servizio, uno dei più alti che si possa offrire alla società, lo dice anche il Papa…!»
Però, entrambe le categorie antropologiche delle persone, dalle quali ricevo queste risposte, hanno una cosa in comune: la volontà che non si possa e non si debba fare nulla!
Io - sarò un sognatore - invece penso che molto si dovrebbe fare, perché è proprio dalla semplice e ovvia domanda “se la politica sia un business o un servizio”, che dipende tutta l’impostazione etico-sociale dell’organizzazione della collettività e del suo “bene comune”.
Giacché sono veramente tante le cose da fare, a me piacerebbe iniziare da una che ritengo la prima da dover affrontare, cioè la moralizzazione dei guadagni di parlamentari ed affini.
Infatti, sono convinto che nell’alto livello retributivo della “casta politica” verosimilmente risieda la ragione più grave dell’imbarbarimento attuale dei costumi politici italiani.
Oggettivamente, ahinoi, da qualunque parte si guardi, la politica purtroppo non è mai caratterizzata dal servizio, ma dal business!
Non solo, ma le alte retribuzioni ai politici costituiscono la leva più forte per tenere sotto controllo i cosiddetti rappresentanti del popolo da parte del pro tempore “padrone del vapore”, riducendo, quasi ad annullarli, gli spazi di democrazia nel nostro Paese.
Un’autentica volontà riformista e un sentito impegno morale nella vita pubblica non possono che partire dal taglio drastico delle indennità parlamentari, laddove taglio drastico intendo la riduzione a un decimo dell’ammontare attuale! Solo così si potrebbe sperare un riaggancio della società politica alla società civile, grazie a livelli retributivi quantomeno compararabili tra i due ambiti, ed una conversione della “politica del business” alla “politica del servizio”.
Andrea Volpe
Mi pare veramente una bella domanda e conosco veramente bene le due risposte che sistematicamente arrivano:
- l’una sorniona e sorridente: «Ma fammi il piacere...! Non farmi ridere…Da sempre e da qualunque parte la politica è stata un affare! Ognuno si è sempre fatti i c…. suoi….»
- l’altra seriosa e scandalizzata (ma per niente convinta!): «Ma come si fa a pensare alla politica come un affare…, certo che è un servizio, uno dei più alti che si possa offrire alla società, lo dice anche il Papa…!»
Però, entrambe le categorie antropologiche delle persone, dalle quali ricevo queste risposte, hanno una cosa in comune: la volontà che non si possa e non si debba fare nulla!
Io - sarò un sognatore - invece penso che molto si dovrebbe fare, perché è proprio dalla semplice e ovvia domanda “se la politica sia un business o un servizio”, che dipende tutta l’impostazione etico-sociale dell’organizzazione della collettività e del suo “bene comune”.
Giacché sono veramente tante le cose da fare, a me piacerebbe iniziare da una che ritengo la prima da dover affrontare, cioè la moralizzazione dei guadagni di parlamentari ed affini.
Infatti, sono convinto che nell’alto livello retributivo della “casta politica” verosimilmente risieda la ragione più grave dell’imbarbarimento attuale dei costumi politici italiani.
Oggettivamente, ahinoi, da qualunque parte si guardi, la politica purtroppo non è mai caratterizzata dal servizio, ma dal business!
Non solo, ma le alte retribuzioni ai politici costituiscono la leva più forte per tenere sotto controllo i cosiddetti rappresentanti del popolo da parte del pro tempore “padrone del vapore”, riducendo, quasi ad annullarli, gli spazi di democrazia nel nostro Paese.
Un’autentica volontà riformista e un sentito impegno morale nella vita pubblica non possono che partire dal taglio drastico delle indennità parlamentari, laddove taglio drastico intendo la riduzione a un decimo dell’ammontare attuale! Solo così si potrebbe sperare un riaggancio della società politica alla società civile, grazie a livelli retributivi quantomeno compararabili tra i due ambiti, ed una conversione della “politica del business” alla “politica del servizio”.
Andrea Volpe
giovedì 9 ottobre 2008
Come dare una mano a Lombardo nell’opera di razionalizzazione dell’amministrazione regionale?
Come dare una mano a Lombardo nell’opera di razionalizzazione dell’amministrazione regionale?
Molti commentatori politici della stampa regionale si chiedono cosa faranno i parlamentari del PD in riferimento alla politica di dimagrimento e di razionalizzazione della spesa regionale, portata avanti dal Presidente Raffaele Lombardo.
Io temo che l’attesa che i parlamentari regionali del PD possano dare una mano alla campagna di razionalizzazione dell'amministrazione regionale di Lombardo andrà delusa!
Infatti, oggi, tutti i parlamentari regionali, sia di maggioranza che di opposizione, vivono dei medesimi espedienti clientelari e assistenzialistici: in questo sono assolutamente omologati tra di loro e sono portatori degli stessi interessi.
Se veramente Raffaele Lombardo vuole portare avanti un programma di risparmi e di efficienza nell'elefantiaca amministrazione regionale, deve trovare nuove sponde nell'opinione pubblica ed in un diverso personale politico.
Penso che proverà a fare questa operazione strutturando l'MPA, il partito da lui fondato, e che, come ha detto nel corso dell'Assemblea tenutasi alla Fiera del Mediterraneo martedì scorso, vuole portare ad essere il primo partito siciliano!
Rimane ai Siciliani di buona volontà e di lungimirante intelligenza impegnare in questo percorso l’attuale Governatore della Regione Sicilia e dargli, su queste basi, l’appoggio che lui stesso chiede.
Andrea Volpe
Molti commentatori politici della stampa regionale si chiedono cosa faranno i parlamentari del PD in riferimento alla politica di dimagrimento e di razionalizzazione della spesa regionale, portata avanti dal Presidente Raffaele Lombardo.
Io temo che l’attesa che i parlamentari regionali del PD possano dare una mano alla campagna di razionalizzazione dell'amministrazione regionale di Lombardo andrà delusa!
Infatti, oggi, tutti i parlamentari regionali, sia di maggioranza che di opposizione, vivono dei medesimi espedienti clientelari e assistenzialistici: in questo sono assolutamente omologati tra di loro e sono portatori degli stessi interessi.
Se veramente Raffaele Lombardo vuole portare avanti un programma di risparmi e di efficienza nell'elefantiaca amministrazione regionale, deve trovare nuove sponde nell'opinione pubblica ed in un diverso personale politico.
Penso che proverà a fare questa operazione strutturando l'MPA, il partito da lui fondato, e che, come ha detto nel corso dell'Assemblea tenutasi alla Fiera del Mediterraneo martedì scorso, vuole portare ad essere il primo partito siciliano!
Rimane ai Siciliani di buona volontà e di lungimirante intelligenza impegnare in questo percorso l’attuale Governatore della Regione Sicilia e dargli, su queste basi, l’appoggio che lui stesso chiede.
Andrea Volpe
Cosa si può fare per gli ultimi?
Cosa si può fare per gli ultimi?
A Palermo si è nuovamente riaccesa l’annosa questione dei “senza tetto” e la cattedrale è di nuovo occupata, oserei dire tra l’indifferenza generale!
Mi pare che sul problema degli ultimi c'è un generale fraintendimento, a Palermo come anche nel resto d'Italia, che conduce a due prospettive divergenti: o gli ultimi vengono ignorati, se non addirittura repressi, in attesa che chi sa quale atteso progresso socio-economico porti alla loro spontanea estinzione, oppure vengono considerati come una sorta di categoria protetta ai quali è concesso poter far tutto con la solidale tolleranza dei più illuminati.
Entrambe le prospettive, sebbene divergenti, hanno paradossalmente un punto in comune, che è “il non fare nulla” a livello pratico per intervenire e risolvere la questione alla radice.
In questi giorni, in cui i potenti del pianeta sono impegnati a dare fondo alle riserve finanziarie statali per salvare i ricchi della terra (e non lo dico con disappunto, ma come uno dei compiti di chi ha la responsabilità di gestire l'economia mondiale), non si trovano amministratori di buona volontà che sappiano affrontare in modo decoroso, il problema dei poveri, che stanno sotto la propria casa, avviando soluzioni virtuose in grado di "convertire" la loro visione di vita e di fornir loro i mezzi per risollevarsi dallo stato di indigenza nel quale versano?
Lo scontatissimo adagio: «Se vedi un uomo che ha fame, non gli dare un pesce, ma insegnagli a pescare», qui è quanto mai opportuno.
Certo è più faticoso ed impegnativo insegnare a pescare rispetto ad un’occasionale elemosina, ma è risolutivo del problema e, nello specifico, più rispettoso della dignità umana.
Andrea Volpe
A Palermo si è nuovamente riaccesa l’annosa questione dei “senza tetto” e la cattedrale è di nuovo occupata, oserei dire tra l’indifferenza generale!
Mi pare che sul problema degli ultimi c'è un generale fraintendimento, a Palermo come anche nel resto d'Italia, che conduce a due prospettive divergenti: o gli ultimi vengono ignorati, se non addirittura repressi, in attesa che chi sa quale atteso progresso socio-economico porti alla loro spontanea estinzione, oppure vengono considerati come una sorta di categoria protetta ai quali è concesso poter far tutto con la solidale tolleranza dei più illuminati.
Entrambe le prospettive, sebbene divergenti, hanno paradossalmente un punto in comune, che è “il non fare nulla” a livello pratico per intervenire e risolvere la questione alla radice.
In questi giorni, in cui i potenti del pianeta sono impegnati a dare fondo alle riserve finanziarie statali per salvare i ricchi della terra (e non lo dico con disappunto, ma come uno dei compiti di chi ha la responsabilità di gestire l'economia mondiale), non si trovano amministratori di buona volontà che sappiano affrontare in modo decoroso, il problema dei poveri, che stanno sotto la propria casa, avviando soluzioni virtuose in grado di "convertire" la loro visione di vita e di fornir loro i mezzi per risollevarsi dallo stato di indigenza nel quale versano?
Lo scontatissimo adagio: «Se vedi un uomo che ha fame, non gli dare un pesce, ma insegnagli a pescare», qui è quanto mai opportuno.
Certo è più faticoso ed impegnativo insegnare a pescare rispetto ad un’occasionale elemosina, ma è risolutivo del problema e, nello specifico, più rispettoso della dignità umana.
Andrea Volpe
Iscriviti a:
Post (Atom)